In un precedente post ho scritto sull’opposizione tra lingua e dialetto dicendo che la distinzione tra l’una e l’altro non è evidente. Intanto, l’interessante libro di Nicola de Blasi e Francesco Montuori sul napoletano («Una lingua gentile: Storia e grafia del napoletano», ed. Cronopio, 2020) mi ha chiarito le idee: il suo primo capitolo è infatti intitolato «Lingua, “dialect” e dialetto».

Gli autori scrivono che la sfumatura negativa associata alla parola «dialetto» è dovuta ad una confusione fatta con la parola inglese «dialect». Anche se deriva dall’italiano, ha assunto un significato diverso, ossia quello di variante locale o sociale di una lingua, cioè un modo particolare di parlare una lingua in una certa città. Ma questo significato non vale per la parola italiana: un dialetto italiano è un sistema linguistico autonomo, derivato direttamente dal latino. In altre parole, un dialetto è una lingua locale, distinta dall’italiano e dagli altri dialetti.

L’opposizione tra «lingua» e «dialetto» dunque non ha senso, dato che un dialetto è una lingua a tutti gli effetti.