L'Italia a caso: Domodossola
A maggio del 2018 per non so quale ragione avevo poco tempo per pianificare una settimana di ferie a giugno, e volevo comunque andare in Italia con il treno. Ho cercato un po’ posti sperduti vicini a Torino o Milano dove c’erano degli host Airbnb, e Domodossola (VB) mi ha colpito con il suo nome strano (all’epoca non sapevo niente della «D come Domodossola»). Ho controllato un po’: centro storico carino, pochi turisti, facile da raggiungere in treno, e molte possibilità di passeggiate nei dintorni. Ho preso i biglietti, ho prenotato l’Airbnb, e poi ho cercato un po’ in giro cosa si poteva vedere in questa città.
Spoiler: non molto. Il piccolo centro storico è carino, ma a parte ciò e due mini musei non c’è gran che. Ho comprato su Amazon l’unico libro che menzionava Domodossola senza veramente sapere di che cosa parlava: «La ferrovia Domodossola-Locarno e la via del mercato», di Albano Marcarini. Mi ricordo che faticavo a leggere i testi (avevo cominciato a studiare l’italiano poco più di due anni prima) e guardavo più le immagini che i lunghi testi. In realtà questo piccolo libro è stato la mia Bibbia a Domodossola, ed è grazie a lui che ho scoperto tante cose sulla Valle Vigezzo e che sono tornato nello stesso posto l’anno dopo.
Praticamente si tratta di una guida per un sentiero che collega Domodossola a Locarno in sette tappe, lungo la «via del mercato», una mulattiera usata nel passato dai contadini della valle che venivano a vendere le loro merce al mercato di Domodossola. La cosa che rende questo tratto speciale è che proprio lungo tutta la valle fu costruita all’inizio del ’900 una ferrovia a scartamento ridotto che collega Domodossola a Locarno con fermate intermediarie nei paesi della Valle Vigezzo. Il sentiero è acutamente diviso in tappe che iniziano e finiscono alle fermate del trenino. In questo modo si può fare tutto il sentiero senza dover trovare una sistemazione dopo ogni tappa: basta tornare a Domodossola per la notte, e poi ripartire l’indomani in treno.
Il libro è molto ben fatto con begli acquerelli che dipingono i paesaggi. L’avrei scoperto dopo, ma il suo autore è proprio noto per questo tipo di libro che descrive passeggiate a piedi o in bici con degli acquerelli.
E poi a inizio giugno non c’è quasi nessun turista nella valle, abbiamo camminato per chilometri senza incontrare nessuno a parte qualche pecora. Dal lato svizzero siamo pure andati in un «ristorante» autogestito: non c’è nessun personale, c’è solo un frigorifero e qualche barattolo di miele, e un paio di tavoli con delle sedie. Ognuno si può comprare ciò che vuole, basta mettere i soldi in una fessura tagliata in un armadio che serve da «banca» per il ristorante. Si trova poco dopo Rasa, un paesino svizzero dove non c’è nessuna strada: l’unico modo per arrivare è di salire sulla piccola funivia che collega il paesino all’altro lato della Valle, dove c’è la strada principale e la ferrovia. Pure la funivia si usa da soli: si compra il biglietto al distributore automatico, si sale nella funivia, e dopo poco tempo essa si avvia da sola verso l’altro lato.
In realtà dal lato di Rasa c’è una persona che controlla i biglietti e ha degli schermi per vedere se c’è qualcuno dal lato opposto. La funivia è aperto al traffico esterno solo da marzo a novembre, e per il resto dell’anno solo i sui 12 abitanti possono usarla. È davvero un’esperienza speciale di cui mi ricordo bene anche quattro anni dopo, perché una volta scesi dal trenino non c’è nessun’altra persona, non c’è nessun rumore, c’è solo questa misteriosa funivia di cui non si sa se è aperta o chiusa, ci si compra il biglietto con una curiosità mescolata alla paura di buttare soldi all’aria (costa ben 7 franchi a persona, circa 7€), poi si entra in questa cabinetta… e dopo qualche minuto si avvia magicamente verso l’altro lato, dove siamo riassicurati vedendo che c’è almeno un’altra vita umana in quest’oceano di silenzio.
Per citare Marcarini:
A Rasa non ci sono auto. Questo è il primo dato positivo. Il secondo è che… siamo in Paradiso! […] È esattamente la sensazione che si prova quando il silenzioso cavo d’acciaio che tiene salda la vostra cabina — a quattro posti, non di più — vi fa ascendere al cielo in cinque minuti, scavalcando la Melezza a vertiginosa altezza, verso quell’acrobatico ripiano di verde dove spuntano un campanile e una manciata di case.
— Albano Marcarini, La ferrovia Domodossola Locarno, p.135
Rasa è sicuramente la tappa che mi ha colpito di più, ma molti altri paesi sono carini — o addirittura curiosi, come Marone (lato italiano), un paesino abbandonato mezzo secolo fa di cui si possono ancora vedere le case di pietra.
Anche la ferrovia da sola vale la pena, fatevi un Domodossola-Locarno, qualche ora a Locarno per girare la città e rinunciare a qualsiasi acquisto quando vedrete i prezzi, e poi il ritorno.
In conclusione, si tratta di una scelta puramente casuale da parte mia che si è rivelata una bella esperienza, così bella da avere un bis l’anno dopo. Purtroppo non tutti i posti che scelgo a caso si rivelano delle chicche, ma questo fa parte del gioco!