Ho letto In altre parole, di Jhumpa Lahiri (Guanda edizioni, 2015). L’autrice, di madrelingua inglese, vive negli Usa. Durante un viaggio a Firenze nel 1994 scoprì l’italiano ed ebbe un colpo di fulmine, si innamorò di questa lingua. L’ha poi imparata a distanza, in America, prima di poter finalmente andare a vivere in Italia con la sua famiglia nel 2012, a Roma.

Il libro racconta questa storia d’amore con la lingua, il suo rapporto a distanza e poi la sua immersione in Italia. Racconta delle sue difficoltà, della sua scrittura in italiano e del strano effetto che fa quando si scrive in una lingua straniera.

Mi sono riconosciuto in alcuni passaggi del libro, ed è stato interessante leggere qualcuno che ha avuto un percorso simile di avvicinamento alla lingua, anche se la sua situazione è molto differente. Per esempio quando all’inizio si cerca d’imparare tutte le parole ma non ci si riesce perché la memoria non può digerire tutto questo nuovo sapere in così poco tempo. Bisogna imparare poco a poco, ed è normale di dimenticare una parte. Come lo scrive lei la lingua è un muscolo, va allenato e si indebolisce se non si usa.

Prima di questo libro avevo già letto Racconti romani (stessa autrice, 2022). L’anno scorso ho letto Divorzio di velluto di Jana Karšaiová, un altro libro scritto in italiano da un’autrice non di madrelingua italiana. In questo ultimo libro si sente chiaramente che l’autrice non è italiana perché la lingua è scritta in modo particolare. Gli italiani hanno sicuramente la stessa impressione con i libri della Lahiri, ma io non l’ho sentito. Il lessico è ricco, si vede che c’è un importante lavoro letterario dietro a ogni libro. Non stupisce, perché l’autrice è già una scrittrice di mestiere con numerosi premi.

Insomma, è stato un libro molto interessante. Non lo consiglierei a qualcuno che sta appena iniziando a imparare la lingua perché il livello lessicale è troppo alto, ma per qualcuno che ha già qualche anno di pratica è interessante per confrontare le esperienze.