La crisi di governo che portò alle dimissioni di Draghi e allo scioglimento delle camere a luglio 2022 è il primo grosso evento politico che ho seguito in modo abbastanza approfondito. Bisogna sottolineare che non vivo in Italia, seguo la politica italiano da poco tempo e dall’estero, e non ho i riferimenti politici di chi vive in Italia da sempre e conosce tutte le personalità e la storia dei loro partiti.

Ecco quindi quello che io ho capito. Ci saranno probabilmente degli errori o delle approssimazioni, ma penso di avere capito i punti principali.

Contesto

Per capire il contesto, bisogna sapere che dal febbraio 2021 c’è un governo d’unità nazionale in Italia, sostenuto da tutti i principali partiti tranne Fratelli d’Italia (FdI, presieduto da Giorgia Meloni). Praticamente, il governo ha dei ministri che vanno dal Partito democratico (Pd, presieduto da Enrico Letta) alla Lega (presieduta da Matteo Salvini), con in mezzo il Movimento 5 stelle (fondato da Beppe Grillo e attualmente presieduto da Giuseppe Conte), Forza Italia (FI, Silvio Berlusconi), Italia Viva (IV, Matteo Renzi). Il capo del governo è il premier, ovvero il presidente del Consiglio dei ministri, Mario Draghi. Alcuni lo descrivono come un premier «tecnico» in quanto non è di nessun partito politico, è solo un ex-banchiere che fa quello che è necessario. Bisogna anche sapere che l’Italia sta avviando tante riforme chieste dall’Unione europea nel contesto del Pnrr, che sarebbe una montagna di soldi (200 miliardi di euro) che l’Ue darà al paese se avvia le riforme economiche che gli sono state chieste. Non so molto di più su questo argomento, solo che c’è un calendario da seguire e che la caduta del governo non aiuta per niente a rispettarlo.

Bisogna anche sapere che il M5S è ormai in crisi da un po’ di tempo. Hanno stravinto le elezioni nel 2018 ma man mano hanno perso molta gente che è partita (o è stata esclusa) dal partito. A giugno 2022 Luigi Di Maio esce dal M5S per creare un nuovo partito, «Insieme per il futuro» (Ipf), raggiunto da una cinquantina di deputati M5S.

Il termovalorizzatore della discordia

Per farla breve, il sindaco di Roma (Gualtieri, eletto l’anno scorso) vuole far costruire un termovalorizzatore per la città in modo da poter contrastare il problema dei rifiuti. Un termovalorizzatore è un impianto dove sono portati i rifiuti per essere bruciati. Per far questo, ha bisogno di un provvedimento legislativo, e quindi l’approvazione del termovalorizzatore è inserita nel cosiddetto decreto «aiuti», un disegno di legge (ddl) che contiene tante cose, perlopiù concentrate sugli aiuti alla popolazione per contrastare gli effetti economici della guerra in Ucraina.

Il M5S non è 100% d’accordo sul contenuto del decreto, soprattutto è contrario al termovalorizzatore perché lo ritiene non ecologico: bisognerebbe riciclare i rifiuti invece di bruciarli.

La fiducia (1)

Il ddl deve essere votato entro una precisa data per non far scadere dei provvedimenti che riguardano diverse cose tra cui un bonus di 200€ che spetta a mezza Italia. Il governo decide quindi di porre la fiducia sul ddl. È un meccanismo con il quale il governo lega il suo destino a quello di un testo: è un po’ come chiedere ai parlamentari «siete con me e approvate il teso, o siete contro di me?». Questo permette di velocizzare l’approvazione di un testo perché si vota sul testo così com’è al momento della questione di fiducia, non è possibile di discutere di nuovi emendamenti.

Nel contempo, ci sono delle trattative tra Conte e Draghi ma con pochi risultati.

Draghi dice che se il M5S non vota la fiducia, si dimetterà.

Alla Camera, il M5S vota contro il testo ma a favore della fiducia. Al Senato invece non si può fare così: o si vota per la fiducia e il testo, o si vota contro entrambi. Per non votare contro la fiducia, i senatori M5S escono dall’aula prima del voto, spiegando che non cercano di far cadere il governo, bensì di manifestare il loro disaccordo. La Camera risulta favorevole alla fiducia (e al ddl), ma senza il sostegno del M5S Draghi non si considera più legittimo.

Draghi sale da Mattarella e gli dà le dimissioni. Mattarella le respinge, chiedendo a Draghi di spiegarsi davanti alle camere.

C’è poi un incidente diplomatico dalla parte di Draghi che va a discutere della crisi con Letta (PD) senza parlarne con FI/Lega che si irritano, e che alla fine lo incontrano durante la sera.

Il discorso

L’indomani, Draghi fa un discorso di mezz’ora davanti al Senato dove elenca tutto quello che il governo d’unità nazionale ha fatto ma poi diventa molto dura e critica (senza nominarla) la Lega, dicendo che il sostegno al governo deve essere totale e non solo una facciata. Infatti, la Lega è al governo ma ha un posizione un po’ ambigua che a volte la fa somigliare a un partito d’opposizione.

La Lega prende male la critica e tolto l’appoggio al governo. Con FI, si dice favorevole a un nuovo governo con nuovi ministri, un programma differente e senza il M5S. Queste condizioni non sono accettabili per Draghi che vuole un governo d’unità nazionale.

Alcuni dicono che Draghi si è stufato e ha fatto un discorso volontariamente troppo duro, senza il quale forse avrebbe potuto conservare l’appoggio della Lega senza però togliere il M5S del governo. Bisogna anche sapere che da qualche tempo la coalizione Lega/FI/FdI è prima nei sondaggi, e quindi delle elezioni anticipate non sarebbero una cattiva notizia per loro.

La fiducia (2)

La questione di fiduccia è posta su una risoluzione d’appoggio al discorso di draghi. Il Senato vota la fiducia, ma con i senatori Lega e FI fuori dall’aula, e quelli del M5S «presenti ma non votanti».

Siccome Draghi non ha più l’appoggio del M5S, della Lega e di FI, anche se tecnicamente ha la fiducia del Senato, torna da Mattarella, il quale accetta le dimissioni.

Mattarella scioglie le camere. Ci saranno elezioni anticipate a settembre. Il governo resta lo stesso fino alle elezioni per gestire le affari correnti.

Fine (per adesso).