Praticamente ero appena arrivato a Bra, e la sera stessa la coppia che viveva nella camera accanto alla mia nella casa di campagna in periferia in cui sarei vissuto per una settimana mi ha invitato a scendere in città con loro per ascoltare l’altro ospite della casa, un musicista che si produceva in un bar di Bra per il primo incontro di un piccolo festival di musica organizzato dalla proprietaria della casa, musicista anche lei.
Il bar era pieno, il musicista era molto bravo, e avrei imparato dopo che aveva una lunga carriera alle spalle. Lo si può vedere suonare lo stesso brano in intero su YouTube (non è di lui).
]]>Alcuni libri del ciclo come La Curée o L’Assommoir si studiano alle scuole superiori, ma all’epoca ero troppo giovane per apprezzarli e ne ho ricordi pessimi. Non avrei mai pensato che 15 anni più tardi avrei letto La Curée di nuovo, ma questa volta in un paio di giorni!
Per quanto riguarda i libri in italiano, si nota il mio soggiorno a Napoli a maggio, qualche mese dopo aver iniziato a studiare il napoletano, durante il cui ho comprato libri sull’argomento e poi sulla linguistica in generale.
Fa freddo, cammino in fretta perché voglio tornare a casa. Dritto, lungo la rue de Varenne, una strada poco trafficata, con pochissimi negozi e più poliziotti che gente comune per strada. Si capisce, qua c’è la sede del Primo Ministro, del Ministero dell’agricoltura e di quello delle relazioni col Parlamento. Siamo vicini alle ambasciate d’Italia, Svezia, Corea, Polonia e Tunisia. È un quartiere strano di sera, non c’è nessuno a parte i poliziotti armati che scrutano ogni passante.
Aggiusto il cappuccio per proteggermi dalla pioggia, ma spesso affondo il piede in una pozzanghera creata dall’irregolarità del pavimento. Non c’è nessun albero (sono dietro i grandi portoni degli hôtels particuliers), e i marciapiedi sono così stretti che bisogna scendere sul lastrico per incrociarsi.
Dopo dieci minuti ecco la metro, Invalides, linea 8, sei minuti di attesa.
]]>A maggio del 2018 per non so quale ragione avevo poco tempo per pianificare una settimana di ferie a giugno, e volevo comunque andare in Italia con il treno. Ho cercato un po’ posti sperduti vicini a Torino o Milano dove c’erano degli host Airbnb, e Domodossola (VB) mi ha colpito con il suo nome strano (all’epoca non sapevo niente della «D come Domodossola»). Ho controllato un po’: centro storico carino, pochi turisti, facile da raggiungere in treno, e molte possibilità di passeggiate nei dintorni. Ho preso i biglietti, ho prenotato l’Airbnb, e poi ho cercato un po’ in giro cosa si poteva vedere in questa città.
Spoiler: non molto. Il piccolo centro storico è carino, ma a parte ciò e due mini musei non c’è gran che. Ho comprato su Amazon l’unico libro che menzionava Domodossola senza veramente sapere di che cosa parlava: «La ferrovia Domodossola-Locarno e la via del mercato», di Albano Marcarini. Mi ricordo che faticavo a leggere i testi (avevo cominciato a studiare l’italiano poco più di due anni prima) e guardavo più le immagini che i lunghi testi. In realtà questo piccolo libro è stato la mia Bibbia a Domodossola, ed è grazie a lui che ho scoperto tante cose sulla Valle Vigezzo e che sono tornato nello stesso posto l’anno dopo.
Praticamente si tratta di una guida per un sentiero che collega Domodossola a Locarno in sette tappe, lungo la «via del mercato», una mulattiera usata nel passato dai contadini della valle che venivano a vendere le loro merce al mercato di Domodossola. La cosa che rende questo tratto speciale è che proprio lungo tutta la valle fu costruita all’inizio del ’900 una ferrovia a scartamento ridotto che collega Domodossola a Locarno con fermate intermediarie nei paesi della Valle Vigezzo. Il sentiero è acutamente diviso in tappe che iniziano e finiscono alle fermate del trenino. In questo modo si può fare tutto il sentiero senza dover trovare una sistemazione dopo ogni tappa: basta tornare a Domodossola per la notte, e poi ripartire l’indomani in treno.
Il libro è molto ben fatto con begli acquerelli che dipingono i paesaggi. L’avrei scoperto dopo, ma il suo autore è proprio noto per questo tipo di libro che descrive passeggiate a piedi o in bici con degli acquerelli.
E poi a inizio giugno non c’è quasi nessun turista nella valle, abbiamo camminato per chilometri senza incontrare nessuno a parte qualche pecora. Dal lato svizzero siamo pure andati in un «ristorante» autogestito: non c’è nessun personale, c’è solo un frigorifero e qualche barattolo di miele, e un paio di tavoli con delle sedie. Ognuno si può comprare ciò che vuole, basta mettere i soldi in una fessura tagliata in un armadio che serve da «banca» per il ristorante. Si trova poco dopo Rasa, un paesino svizzero dove non c’è nessuna strada: l’unico modo per arrivare è di salire sulla piccola funivia che collega il paesino all’altro lato della Valle, dove c’è la strada principale e la ferrovia. Pure la funivia si usa da soli: si compra il biglietto al distributore automatico, si sale nella funivia, e dopo poco tempo essa si avvia da sola verso l’altro lato.
In realtà dal lato di Rasa c’è una persona che controlla i biglietti e ha degli schermi per vedere se c’è qualcuno dal lato opposto. La funivia è aperto al traffico esterno solo da marzo a novembre, e per il resto dell’anno solo i sui 12 abitanti possono usarla. È davvero un’esperienza speciale di cui mi ricordo bene anche quattro anni dopo, perché una volta scesi dal trenino non c’è nessun’altra persona, non c’è nessun rumore, c’è solo questa misteriosa funivia di cui non si sa se è aperta o chiusa, ci si compra il biglietto con una curiosità mescolata alla paura di buttare soldi all’aria (costa ben 7 franchi a persona, circa 7€), poi si entra in questa cabinetta… e dopo qualche minuto si avvia magicamente verso l’altro lato, dove siamo riassicurati vedendo che c’è almeno un’altra vita umana in quest’oceano di silenzio.
Per citare Marcarini:
A Rasa non ci sono auto. Questo è il primo dato positivo. Il secondo è che… siamo in Paradiso! […] È esattamente la sensazione che si prova quando il silenzioso cavo d’acciaio che tiene salda la vostra cabina — a quattro posti, non di più — vi fa ascendere al cielo in cinque minuti, scavalcando la Melezza a vertiginosa altezza, verso quell’acrobatico ripiano di verde dove spuntano un campanile e una manciata di case.
— Albano Marcarini, La ferrovia Domodossola Locarno, p.135
Rasa è sicuramente la tappa che mi ha colpito di più, ma molti altri paesi sono carini — o addirittura curiosi, come Marone (lato italiano), un paesino abbandonato mezzo secolo fa di cui si possono ancora vedere le case di pietra.
Anche la ferrovia da sola vale la pena, fatevi un Domodossola-Locarno, qualche ora a Locarno per girare la città e rinunciare a qualsiasi acquisto quando vedrete i prezzi, e poi il ritorno.
In conclusione, si tratta di una scelta puramente casuale da parte mia che si è rivelata una bella esperienza, così bella da avere un bis l’anno dopo. Purtroppo non tutti i posti che scelgo a caso si rivelano delle chicche, ma questo fa parte del gioco!
]]>Qualche settimana prima di questo viaggio però la tratta Zurigo-Innsbruck è stata cancellata a causa di lavori in corso, e ho dovuto (ancora!) comprare altri biglietti: avrei fatto Zurigo-Sargans in treno, poi Sargans-Ötzal in pullman, e in fine Ötzal-Innsbruck di nuovo in treno. Tutti questi cambiamenti mi hanno causato un po’ di stress, dato che oltre a dover prendere tre treni e un pullman in un solo giorno, avrei viaggiato attraverso tre paesi di cui non parlo la lingua (Svizzera dalla parte dove parlano tedesco, Liechtenstein, Austria).
Praticamente è andato tutto liscio: tutti i treni sono arrivati in orario, non ho avuto nessun problema per comunicare. A Zurigo ho avuto il tempo di fare un piccolo giro in centro e di mangiarmi una fondue (cara però!), poi a Sargans c’era del personale che indicava dov’era il pullman per Ötzal, a Ötzal il pullman è arrivato con quasi 30 minuti di anticipo, e alla fine sono arrivato a Innsbruck all’ora prevista, dopo una colazione a casa a Parigi, un pranzo a Zurigo e una merendina nel pullman che attraversava il Lichtenstein. Ho avuto maltempo tutto il viaggio, ma a questo punto credo che sia legato alla lingua: dove parlano tedesco il cielo è sempre grigio. Battuta a parte, mi sono trovato bene a Innsbruck, il centro storico è molto bello e ho cenato in un ristorante carino dove sono pure tornato per il pranzo il giorno dopo.
Ho dormito in un albergo del centro, ho visitato un po’ la città durante la pausa pranzo, e poi sono salito sul treno per Trento, un treno molto confortevole che attraversa paesaggi stupendi: il tunnel da Innsbruck a Bolzano non sarà finito prima del 2030, e per adesso il treno deve salire in montagna fino ai 1371 m d’altezza della stazione di Brennero.
In conclusione la cancellazione dei biglietti iniziali si è trasformata in opportunità per scoprire posti in cui mai avrei messo i piedi, non per volontà ma proprio per ignoranza. Prima non conoscevo mica l’esistenza di Innsbruck e adesso invece ci vorrei tornare per approfittarne di più.
]]>Quest’anno sono andato per la prima volta a Cheese, il festival di formaggi artigianali organizzato dall’associazione Slow Food ogni due anni a Bra. È stata una bella esperienza, anche se è stata faticosa a causa del viaggio per arrivarci.
Infatti, il 27 agosto c’è stato una frana a poca distanza di Modane, e il traffico dei treni è stato sospeso per una durata indeterminata. Ho avuto l’informazione della cancellazione del treno meno di due settimane prima del festival, e quindi è stato difficile trovare un altro modo per andarci: i voli erano troppo costosi (e a volte strani: Parigi-Torino con una coincidenza a… Roma), e stessa cosa per i treni che passano per la Svizzera. Alla fine ho trovato un modo passando per Ventimiglia, anche se è costato più del doppio di quello che avevo pagato tre mesi prima ed è stato molto più lungo. Invece di partire di Parigi alle 3 del pomeriggio per arrivare in serata a Torino, siamo partiti alle 6 (con una sveglia alle 4.20!) per arrivare a Marsiglia alle 9.25, poi a Nizza per un paio d’ore (giusto il tempo di mangiare), quindi Ventimiglia e in fine Carmagnola, dove avevamo l’Airbnb, alle 19. Non abbiamo potuto alloggiare a Bra perché tre mesi prima tutte le strutture erano al completo.
La cosa positiva del viaggio è che abbiamo potuto goderci i belli paesaggi del Sud della Francia, vedere (dal treno) Antibes, Cap-d’Ail, Monaco, ecc. Abbiamo viaggiato lungo il mare da Ventimiglia a Savona prima di salire più a Nord in mezzo ai paesini del Piemonte.
Essendo a Carmagnola, dovevamo prendere il treno la mattina e la sera per andare e tornare da Bra. Purtroppo non abbiamo avuto molto tempo per visitare Carmagnola, ma abbiamo potuto mangiare il menu del peperone in una buona trattoria dato che eravamo poco tempo dopo la festa omonima.
Per quanto riguarda il festival stesso, è molto esteso e non si può vedere bene tutto in un solo giorno. Quasi tutti gli stand sono dedicati a formaggi italiani, ma ce ne sono alcuni con formaggi francesi, svizzeri, neerlandesi e da poche altre nazioni. Ci sono laboratori di degustazione in alcune stand, a volte a pagamento e a volte no. Abbiamo fatto un laboratorio nello stand dell’Umbria (5€), molto interessante con formaggi e vini davvero buoni, e un altro nello stand dell’Emilia-Romagna (gratis), altrettanto interessante. Ci sono anche laboratori «ufficiali» organizzati da Slow Food e per i quali bisogna prenotare in anticipo. Ne abbiamo fatto due, uno sui caci di Centro Italia con mieli e sidri(!), e un altro sui caci del Sud Italia, con miele e vini. Sono interessanti sia per quello che si mangia e si beve, sia per le spiegazioni dei produttori e degli specialisti che ci insegnano ad assaggiare il formaggio da esperti.
La domenica la città è molto affollata e per questo se ci andate vi consiglio il venerdì o il sabato. Ci sono molti posti dove si può mangiare, sia i ristoranti normali di Bra sia posti di «street food» che fanno parte del festival. Molti stand danno dei pezzetti di formaggio da assaggiare, ma vi sconsiglio di assaggiare tutto perché dopo un po’ diventa nauseante e non si sa più se si ha fame o no.
Quasi tutti gli stand vendono del formaggio, pochissimi vendono altre cose come del miele o del gelato (a volte anche lui a base di formaggio). I produttori hanno sempre delle cose interessante da raccontare sulla loro azienda e il loro modo di produrre il formaggio. Alcuni stand sembrano banali, ma quando si ascoltano i produttori diventano molto più interessanti. Poi, ci sono sempre gli stand di formaggi stranieri, sia con formaggi conosciutissimi come la gruviera svizzera, sia strani formaggi statunitensi o neerlandesi.
Alla fine abbiamo comprato una decina di formaggi di diverse origini, abbiamo imparato molte cose su come si fanno e si assaggiano i formaggi, abbiamo mangiato della salsiccia di Bra quasi tutti i giorni e lo faremo molto probabilmente di nuovo nella prossima edizione, in 2025. Questa volta prenoteremo l’albergo molto prima e speriamo che non ci sarà una frana sui binari del treno due settimane prima!
]]>In francese, una claque è uno schiaffo, e quindi il titolo prende un senso totalmente diverso. Il significato di «claque» in italiano viene probabilmente dal suo significato in francese dell’Ottocento, in cui era un gruppo di persone pagate per sostenere o far fallire una rappresentazione teatrale. Questa pratica è sparita durante il Novecento, e con esso questo significato, che invece in italiano è rimasto tale.
]]>Traduzione in italiano:
Lo senti questo silenzio? È il rumore di Parigi ad agosto
Tutti se ne sono andati, restano solo il sole, io e te
Passeggiamo per la città vuotà, all’ombra nei vicoli del centro
Le saracinesche sono abbassate, i cartelli dicono «Torniamo a settembre»
I turisti si sono presi la città, sento più italiano che francese
Sulla Senna ci sono le canoe, a La Villette fanno il cinema all’aperto
Ci si deve godere di questa tranquillità, è preziosa quanta breve.
(grazie a Iginia Barretta per la rilettura e le correzioni)
]]>Gli autori scrivono che la sfumatura negativa associata alla parola «dialetto» è dovuta ad una confusione fatta con la
parola inglese «dialect». Anche se deriva dall’italiano, ha assunto un significato diverso, ossia
quello di variante locale o sociale di una lingua, cioè un modo particolare di parlare una lingua in una certa
città
. Ma questo significato non vale per la parola italiana: un dialetto italiano è un sistema linguistico
autonomo, derivato direttamente dal latino
. In altre parole, un dialetto è una lingua locale, distinta dall’italiano
e dagli altri dialetti.
L’opposizione tra «lingua» e «dialetto» dunque non ha senso, dato che un dialetto è una lingua a tutti gli effetti.
]]>Ma perché il beccafico si chiama così? Semplice: è un uccello ghiottissimo di fichi, e quindi il suo nome viene da «becca» + «fico».
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