Ho letto «I miei stupidi intenti» di Bernardo Zannoni, Sellerio editore (2021, 243 pp.). È il romanzo d’esordio di un autore molto giovane: 26 anni, e ne aveva 21 quando ha cominciato a scrivere la storia. Il narratore e personaggio principale è una faina zoppa, Archy, venduta dalla madre a una volpe in cambio di una gallina e mezzo.

Tutti i personaggi sono infatti degli animali antropomorfi: parlano tra di loro, e alcuni hanno perfino una tana con camere, camino e cucina arretrata. Usano sedie, tavole e stoviglie. Incontriamo una famiglia di faine, una volpe, delle istrici, dei cinghiali, due linci, qualche cane, un gatto, dei maiali, ecc. Trane le galline, tutti possono parlare una lingua comprensibile. L’uomo è —fisicamente— quasi assente della storia, ma resta comunque molto presente tramite i suoi oggetti e uno dei suoi scritti.

Il romanzo esplora il contrasto tra la ragione e l’istinto. Archy scopre la lettura insieme alla scrittura, e con loro impara il tempo, il prima e il dopo, e sopratutto la morte. Questa consapevolezza della morte lo avvicina di più all’uomo rispetto agli altri animali, e ne è cosciente. Il mondo degli animali è sempre presente, e la violenza non è mai lontana: uccidono per mangiare o per proteggere il loro territorio.

La lettura è scorrevole e avvincente. Non è una semplice fiaba con gli animali, ma una vera riflessione su cosa vuol dire essere umano.