L’Agnese va a morire è un romanzo scritto da Renata Viganò, pubblicato nel 1949. Racconta la storia di una lavandaia, Agnese, che vive con Palita e il loro gatto nero durante la seconda guerra mondiale. Un giorno ospitano un rifugiato a casa loro, e l’indomani Palita viene arrestato dai tedeschi. Non si sa se viene arrestato perché qualcuno lo ha denunciato ai tedeschi per quest’uomo nascosto per una notte, o perché sanno dei suoi contatti con i partigiani. Agnese vive quindi da sola e continua il suo lavoro, ma nutre odio verso i tedeschi nazisti.

Una sera dei tedeschi vengono a casa sua, e uno di loro ubriaco, Kurt, uccide il gatto sparandogli. Quando poi lui è addormentato, Agnese lo uccide colpendogli la testa con il suo fucile e scappa in campagna. Incontra poi dei partigiani amici di Palita (Agnese sa ormai che lui è morto), e collabora con loro, diventando la “mamma” dei “ragazzi”.

La fine è annunciata dal titolo: Agnese va a morire, e non sarà uno spoiler scrivervi che, infatti, muore.

È un romanzo avvincente, che descrive bene la vita dei partigiani all’epoca. Infatti, è ispirato alla vita dell’autrice, anch’essa partigiana. Il lessico era un po’ difficile all’inizio, anche perché usa qualche parola vecchia o regionale come “cavedagna” (per “capezzagna”, di cui non sapevo nemmeno il senso) e “giuocare” invece di “giocare”. Una volta acquisito il lessico di base della guerra e della vita contadina, si legge quasi facilmente. All’inizio pensavo che “Agnese” fosse un cognome, perché non avevo mai sentito o letto una donna chiamata “la” + nome. Nel romanzo è addirittura spesso designata dai partigiani come “l’Agnese di Palita”, come se appartenesse a Palita (che non è mai chiamato “il Palita”). Sembra essere una vecchia pratica che non si usa più (tuttavia esiste ancora nel dialetto bolognese).