Questo è il testo che ho preparato e poi letto per una piccola presentazione su Lea Vergine durante un corso sulla storia dell’arte con Isabella Santangelo:



Lea Buoncristiano nasce a Napoli il 5 marzo 1936. È cresciuta dai nonni borghesi, che la sottraggono alla madre perché è la trovano di origini troppo umili. Lea vive quindi con loro, sul stesso piano che la madre. Suoi due fratelli restano con la madre, ed entrambi muoiono giovani di malattie.

Frequenta il Liceo classico Umberto I, e poi la Facoltà di Filosofia, che lascia però all’età di 19 anni per scrivere in riviste e giornali locali. Alla stessa età si sposa con Adamo Vergine (di cui il nome Vergine, che lei userà anche dopo il divorzio), un psicologo più anziano di lei.

Quindi in quegli anni è una giovane critica d’arte, ed entra spesso in conflitto con un mondo dell’arte ancora profondamente maschilista. Per esempio, negli anni ‘60, tiene una conferenza all’Accademia di belle arti di Napoli durante la quale è seduta dietro una tavola che lascia in vista le sue gambe. Il giornalista dell’Unità scrive nel giornale che “la gente è venuta per vederle le gambe non per ascoltar[la]”. Vergine porta il giornalista in tribunale, e vince: lui deve pagarle 300.000 lire. Un altro esempio: quando Vergine ha 26 anni, scrive il testo di una delle prime mostre su Lucio Fontana a Napoli. Lo scrittore Luigi Compagnone la accusa, in un articolo su Il Tempo, di perversione sessuale per aver parlato di “buchi”, riferendosi all’opera di Fontana. Vergine lo porta in tribunale, e vince anche qui.

Lea Vergine s’interessa allora all’arte cinetica (o programmata), e lavora con i critici Eugenio Battisti e Giulio Carlo Argan. L’ultimo la fa incontrare Enzo Mari, con il quale collabora un anno sulla rivista d’avanguardia Linea Struttura. La rivista è un fallimento (solo un numero è pubblicato). Dopo quest’anno di lavoro insieme, Lea Vergine si separa del marito et va vivere con Enzo Mari. Il divorzio non era ancora legalizzato, e loro sono accusati di concubinaggio. Lasciano Napoli per Milano.

A Milano, Vergine lavora con giornali, come il Manifesto e il Corriere della Sera, e riviste, come Domus e Panorama. Si interessa all’arte della performance, e nel 1974 pubblica la sua prima opera, Body art e storie simili: il corpo come linguaggio. Con questo libro, è una delle primissime persone a definire la body art et farla conoscere.

Nel 1978, divorzia di Adamo Vergine e si sposa con Enzo Mari.

Nel 1980, organizza la mostra L’altra metà dell’avanguardia, 1910-1940, pittrici e scultrici nei movimenti delle avanguardie storiche nel Palazzo Reale di Milano, dopo 15 mesi di ricerche nei musei, di viaggi et d’incontri con artisti. La mostra è poi mostrata a Roma, Venezia, Amsterdam e Stoccolma. È la prima mostra in Italia a presentare una storia dell’arte moderna con un punto di vista femminile. Con questa mostra, Vergine attira l’attenzione sull’importanza delle donne nei movimenti artistici della prima metà del ‘900. Scrive poi tanti libri.

Nel 2016, pubblica un libro di ricordi sulla sua carriera, che si chiama L’arte non è faccenda di persona perbene.

Una lunga intervista con Lea Vergine per Artribune è stata pubblicata in un libro del 2019, in cui Lea Vergine definisce la propria filosofia, un po’ come Maria Lai (un’altra artista di cui avevamo parlato in un precedente corso): “L’arte non è necessaria. È il superfluo. E quello che ci serve per essere un po’ felici o meno infelici è il superfluo. Non si può utilizzarla, l’arte, nella vita. Arte e vita sì, nel senso che ti ci dedichi a quella cosa, ma non è che l’arte ti possa aiutare. È un rifugio, una difesa. In questo senso è come una benzodiazepina” (“benzodiazepina” = ansiolitico, medicamento contro l’ansia).

Lea Vergine muore della covid-19 il 20 ottobre 2020, un giorno dopo il marito.